Dollìrio
di
Nino Romeo
rassegna stampa
Ettore Zocaro «La Sicilia» dell’11 dicembre 2011
Roma - (…) Lo svolgimento è incalzante e penetrante… Il silenzio del boss, molto teatrale, rende ancor più misterioso l’andamento narrativo. Molto determinata nella sua recitazione la Maniscalco che è stata festeggiata dal pubblico con molti applausi.
Marco Di Nardo «Perinsala» del 16 novembre 2011
Roma - È un torrente in piena Dollìrio, uno splendido monologo che coinvolge e travolge il pubblico con la forza delle parole e della storia, arricchite, impreziosite e rese vive dalla totalità scenica di Graziana Maniscalco, grandiosa interprete di uno spettacolo difficile sul piano registico quanto impegnativo su quello della recitazione. (…) È una metamorfosi che il pubblico può godere e apprezzare in ogni piccolo frammento, lasciandosi trascinare in questo vortice dove anche la violenza e l’omicidio sembrano perdere negatività, quasi banalizzati nell’ottica di necessità in cui la protagonista sa accompagnare gli spettatori. Accanto a lei un “essenziale” Don Lirio, figura muta per tutta la durata dello spettacolo ma estremamente comunicativo sul piano dell’espressività facciale; riesce a racchiudere in piccoli gesti e minimi segni un universo di parole dal sapore tipicamente siciliano. (…) Graziana Maniscalco riesce in questa strepitosa prova d’attrice, riempiendo una scena con la sua persona e il suo valore, muovendosi e muovendo lo spazio, facendosi totalmente artefice del racconto. (…) Si sorride e ci si emoziona durante lo spettacolo, e si esce dalla sala a malincuore, con la voce di Maria Callas che ancora risuona nelle orecchie.
Ilaria Guidantoni «Saltinaria» del 15 novembre 2011
Roma - Un teatro che diventa racconto, raccolto interamente nella potenza vocale, di grande scuola ed elevata espressività. Il testo possente emerge, in siciliano, e affronta la mafia da un’angolatura particolare: il racconto in diretta, schietto, crudo, mai volgare, tutto al femminile. Un impegno linguistico di grande poesia che ricorda le pagine del grande Sciascia e la drammaticità lirica del vissuto intimo. La scena si apre nel buio pesto con una sonorità inquietante e una luce improvvisa sul fulcro, il volto di Mara, protagonista di uno speciale monologo. (…) Fino al baratro dell’aver costruito una missione sul nulla, e il cerchio si chiude con lo stesso abito indossato nei primi minuti dello spettacolo. Al femminile articolato, contraddittorio e sfumato, si contrappone il maschile feroce, goffo ed elementare, quasi bestiale di Dollìrio (…). Mimica straordinaria in un dialogo per una voce sola, quella di lei, alla quale lui risponde con l’espressione del volto, spostandosi lento da una sedia all’altra. Soluzione originale che alla fine potrebbe essere letta anche come un sogno, una rievocazione che ripercorre l’autobiografia di Mara. La scena è essenziale, quinte nere, un tavolo e sedie con scarpe appoggiate. I suoni hanno un sapore cinematografico da colonna sonora fino al canto lirico disperato finale, un brano interpretato dalla Callas, probabilmente volutamente non noto ai più. (…) Un’ora e mezzo in due atti che scivola veloce catturando l’attenzione per la bellezza del testo e dell’eloquio: fusione armonica rara tra parola scritta e interpretata, una sintonia rara tra testo e regia.
Angelo Pizzuto «Sipario.it» del 14 novembre 2011
Roma – (…) E quella ragazza che chiede asilo alla sua casa, protezione e sussistenza alla morte dei genitori (che lo stesso individuo, palesemente un capoclan, ha fatto eliminare per non si sa quale sgarbo subito), assurgerà, come creatura ibseniana, alla complicità della concupiscenza, dei delitti, delle magagne speculativo-finanziarie di cui il suo aguzzino è garante. (…) Con una duttilità di efferatezza, di trasformismo, di irremovibile strazio che potrebbe appartenere, senza stridori, alle donne di Bergman, Strindberg, Sjostrom. Assisa, allegoricamente, su una seggiola che è “carretto fantasma”, Graziana Maniscalco percorre il labirinto linguistico che per lei ha ordito Nino Romeo (una lingua siciliana orfica, apotropaica, inesplorata e sinistra come la grotta di un ciclope) con l’austerità e l’autorità di uno “strumento” fonetico, musicale, parossistico che immerge la propria anima nelle ignote “fogne” di una desolazione conseguente la profanazione subita. Rinvenendone indenne e sublimata.
Vincenzo Sanfilippo «Inscenaonline» del 12 novembre 2011
Roma – (…) Il testo teatrale di Nino Romeo sposta l’asse di potere patriarcale da un mafioso ovattato “Don Lirio” ad una donna, Mara… Il luogo “geometrico” dell’azione scenica è costituito da un grande tavolo ligneo di forma rettangolare con gambe massicce. Un tavolo di “sostanza” per un uomo di “sostanza” Ma anche tavolo semanticamente simbolico di relazioni e di modalità autorevoli. Alcune sedie e una poltroncina perimetrano lo spazio dell’arredo scenico. Tutto il resto della scena è immerso in una penombra ovattata, mentre ciascuna sedia è rischiarata da un cono di luce, e su una di esse un paio di simboliche pantofole nere maschili. Musica di violoncello su questo primo quadro- che è la casa-covo di Don Lirio, boss del quartiere. (…) Silenzio che -crediamo- sia da considerarsi “chiave di lettura” drammaturgica e interpretativa di Nino Romeo (che dell'allestimento è anche regista). Silenzio contrapposto al serrato ritmo monologante di Graziana Maniscalco, la cui vibrante gestualità e il suo particolarissimo slang catanese, misto di italiano farcito di intraducibili locuzioni dialettali, esprimono e comunicano turgide, implodenti emozioni. Segnali, questi, che insieme ai silenzi altrettanto espressivi rivelano la verità tragica e al contempo grottesca di questa evoluzione interpretativa, fisica e psicologica senza scarto, simile a una iperrealistica quanto inquietante metamorfosi dell’evento. (…) Altera, ironica, sfottente, lasciva, Graziana Maniscalco sfoggia rivalsa nei riguardi del vecchio boss ormai rimbambito, e la cui antica prestanza si spegne nella tristezza e in un continuo presentimento di morte. (…) L’interpretazione cangiante della Maniscalco acquista nel corso dello spettacolo una sembianza diversa: il guadagno, l’avidità, l’ambizione di potere perseguito con la sopraffazione, l’indifferenza alla sorte dell’anziano boss, ridotto da lei a nuda immagine di uomo rassegnato e psicologicamente sottomesso. Sono questi i nodi che si dipanano, a tratti si aggrovigliano, simili a un nido di ragno, attraverso i quali si snodano i temi parossistici di queste relazioni sub-umane.
Antonella Melilli Rossi «Il sipario strappato» del 13 novembre 2011
Roma - (…) Un percorso spietato che in qualche modo si avvita sulla spirale della memoria lungo i passi di una intelligenza sfaccettata di energia inesauribile e di sempre più sicura ambizione… Mentre il linguaggio si addentra nel contesto della famiglia e nei riflessi perfino barbarici di una personalità che si libera da ogni tradizionale subalternità femminile, anche l’organizzazione mafiosa si dispiega nel respiro ampio di una evoluzione capace di valicare i confini dello stato. Disegnando la mappa aggiornata e lucidissima di un potere che estende i suoi tentacoli su un terreno manageriale di assoluta e agghiacciante modernità. Grazie soprattutto all’interpretazione di Graziana Maniscalco, alle prese con un linguaggio impervio che mescola lingua italiana e dialetto siciliano… Restituendo nella cura di gestualità e intonazioni di viscerale autenticità una sorta di continuo corpo a corpo della protagonista, che dall’impatto di una morte violenta inizia la sua scalata a compiti e responsabilità sempre più vasti… E senza rinunciare peraltro a una finale ricerca di senso che la scava di angoscia e di sconfitta, nella tragica consapevolezza di aver vissuto per una causa fondata sul nulla. Lo stesso autore ne accompagna i passi sulla scena funzionalmente scabra di Umberto Naso…
Gianfranco Quadrini «Telefax» del 9 novembre 2011
Roma - (…) Dollìrio è la messinscena del malaffare attraverso una narrazione che affronta un inquietante tema senza reticenze. (…) Una splendida Graziana Maniscalco disegna il personaggio interpretato con l’acume di chi conosce a memoria i fondamentali di un “mestiere” che rimane ostico ai più. Traduce la sua performance in un canovaccio coinvolgente, l’ennesima freccia scagliata da un arciere provetto che dispone di una faretra piena di dardi. La Maniscalco è un’attrice talentuosa che sa sempre dove andare a parare. Il suo monologo è l’esternazione di una creatura che ha voglia di rivalsa per far prevalere il femminile dominato sul maschile dominante. (…) Graziana Maniscalco ammalia per la sua presenza scenica, la sua voce eufonica, la sua mimica facciale e gestuale. Dollìrio è uno spettacolo fascinoso, ottimamente interpretato, ben diretto (dallo stesso Nino Romeo). Le luci di Giovanna Bellini sono visioni che ricordano la pittura fiamminga. La scenografia minimalista di Umberto Naso (delle sedie e un tavolo), fa il verso alla scacchiera di un “gioco d’azzardo” dai risvolti tragici. Una tragicità manifesta che va oltre la rappresentazione per sconfinare nella sfera evocativa di uno show teatrale di eccellente qualità estetica e drammaturgica.
Eleonora Farnisi «Paese Sera.it» dell’8 novembre 2011
Roma - (…) Affidato all’intensa e drammatica interpretazione di una straordinaria Graziana Maniscalco (Premio Inscena 2007), che non lascia nulla al caso, è un monologo sulla memoria e sulla coscienza della protagonista, Mara, che sulla scena non è mai sola. Accanto a lei c’è il boss, Dollìrio, interpretato dallo stesso Nino Romeo, che interviene solo attraverso piccoli ma significativi gesti che assecondano la forza scenica del personaggio femminile. Il ritmo crudo, reale e sempre oscillante tra siciliano e italiano dà ancora più forza all’opera…
Rodolfo Di Giammarco «la Repubblica» del 4 novembre 2011
Roma – Discende da un’analisi di modelli linguistici e dei fenomeni neo-labirintici della mafia, procede nel solco di una ricerca territoriale, umana ed economica riguardante la malavita organizzata nel catanese…
Roberto Canziani «Il Piccolo» del 21 febbraio 2008
Trieste – (…) Dall’abituccio macchiato di sangue, Mara è passata al gessato grigio della mafiosa in carriera, portando con sé il testimone di una vendetta che non ha smesso mai di bruciarle nel cuore. (…) La forte interpretazione di Graziana Maniscalco (…)
Dejan Bozovic «Il Gazzettino» del 21 febbraio 2008
Trieste – (…) Scritto e diretto da Nino Romeo, Dollìrio è strettamente legato, sì, al tema della mafia catanese, o meglio dire di un particolare percorso della sua "globalizzazione" (facilitata dai multipli legami, su vari livelli, con il potere economico e politico), ma due sono le peculiarità che risparmiano alla pièce il sapore del dejà vu. La prima riguarda la capacità dell'autore di mantenere uno stacco etico, di astenersi, vale a dire, dai giudizi, non solo cedendo questo spazio al pubblico, ma amplificando e acuendo con una specie di voluta freddezza e crudezza il gelido squallore della vicenda. Questa, poi, come ipocentro inconsueto, se non proprio inedito, ha una donna (…) resa magistralmente da Graziana Maniscalco, che per questa prova ha ottenuto l'anno scorso il Premio Inscena. Incredibilmente intensa e persuasiva, senza minimi cali di concentrazione, la sua interpretazione semplicemente ipnotizza lo spettatore (…) Entusiasmante la reazione della platea.
Angelo Pizzuto «Sipario» del 14 novembre 2007
La nuova opera di Nino Romeo, tra gli autori più rigorosi, coerenti ed avvincenti di una scrittura scenica lontana dai baricentri delle spartizioni politiche, è l’ennesima conferma di un talento d’autore il quale, non senza crudezze lessicali e libere associazioni fantastico-antropologiche, mira alla decomposizione -“dal di dentro”, in senso implosivo- di ubbie, menzogne, logiche di violenza arcaica che covano sotto la cenere di un’isola incantata (?). Su cui è ancora agevole abusare di populismo e folklore, nel comune imperativo degli egoismi e delle omertà tribali. E ogni riferimento riguarda volutamente la Sicilia.In una (s)composizione scenografica ridotta all’essenziale, denudata di orpelli naturalistici, cupo ventre di un non-luogo che potrebbe parimenti ospitare un dramma beckettiano, sartiano o di varie diramazioni dell’”assurdo”, Dollìrio sta qui ad enucleare (come convitato di pietra, muto, indolente, empio nella ciondolante presenza dello stesso scrittore) l’intima essenza di una sopraffazione, di un muto “patriarcato” che si serve della donna per poi venirne devastato, rimbecillito, quindi divorato a fuoco lento. (…) Nel ribaltamento supino e incandescente dei ruoli, nel sovvertimento del sadismo che omologa la vittima al carnefice (in letteratura si direbbe una “endiadi di opposti”, non v’è l’una se non v’è l’altro), e lungo i paramenti di ciò che in psichiatria viene definita la Sindrome di Stoccolma, Graziana Maniscalco sa essere protagonista suadente e superlativa, eclettica e unitariamente legata al filo di una vendetta che conquista, man mano, valenze metafisiche, erinniche, di astratto furore. Meritevole, pertanto, del premio assegnatole, dopo tanto lavoro, dalla Associazione Italiana dei Critici di Teatro, in una serata di affettuose “rimpatriate” al Piccolo Teatro di Milano. Del resto, più del dramma umano e sociale, oltre la poetica del “disvelamento” e della memoria civile, quello della Maniscalco è un vero e proprio percorso di guerra (della parola, della tonalità, della postura) lungo il tracciato di una individualità femminile in cui la passionalità mediterranea sembra idealmente agganciarsi ai modelli più algidi, inflessibili della grande drammaturgia nordeuropea.
Alessandra Ceravolo «Narcomafie» del luglio/agosto 2007
(…) La scalata di Mara alla “famiglia” ribolle nel magma di un’ambizione imprevedibile che finirà per divorare, in un crudo corpo a corpo teatrale, il vecchio Dollirio, presenza costantemente muta e via via sempre più indifesa. (…) Mara è il volto della nuova mafia, che non si accontenta di un controllo obsoleto del territorio, ma punta in alto e oltre i confini segnati dal boss di quartiere, imbracciando una rinnovata intraprendenza che le fa stringere patti con la politica e siglare accordi con la finanza. Lo spettacolo è tutto giocato sull’interpretazione raffinatissima e straripante di sfumature ora dolenti, ora imperiose o sprezzanti dei due attori: Graziana Maniscalco, che ha ricevuto per la sua carriera di attrice, ma in particolare per l’interpretazione di Dollirio, il premio dell’Associazione dei Critici di Teatro, e Nino Romeo, che è anche autore e regista dello spettacolo. Il linguaggio, il balletto di sguardi, gesti, sospensioni, le luci che inquadrano minacciosi coni d’ombra raddensano un’atmosfera livida che avvolge il palcoscenico e avvince perdutamente lo spettatore.
Francesco Nicolosi Fazio «Inscena» del giugno 2007
Alla stupenda opera che giganteggia nel palermitano palazzo Abatellis fa pensare l’ultima opera di Nino Romeo, interpretata dalla sua Graziana Maniscalco, con la silente presenza dello stesso autore in scena, comodo testimone della vicenda che, con l’algida spietatezza di un documentario, narra dell’ascesa di una umile donna ai più alti livelli di una mafia organica al grande capitale. Un’opera completa, capillare nella descrizione dell’evolversi di una situazione sociale e criminale che si personifica nel personaggio della serva che si fa padrona. (…) Ma al di là di ogni “pretesa” sociologica, l’opera vive di un interiore, ampio respiro che la fa diventare dramma universale e non limitato all’epoca ed ai luoghi dei fatti evocati. Una tragedia che scaturisce dalle porzioni più profonde dell’io, anfratti nascosti dove riesce ad intravedersi ogni ambizione, anche la più legittima ed onesta, che comporta sempre un pegno, un sacrificio, una tragedia. Il punto d’incontro tra il tema antropologico e quello umano diviene, nell’opera e nella scena, il personaggio principale, stupendamente reso da Graziana Maniscalco che assume la dimensione scenica di una vera regina shakespeariana, sia per la vicenda narrata, che per la presenza di teatrante completa in ogni registro recitativo. Fluido e pertinente il dialetto usato, come scritto e ripenetrato da Nino Romeo; semplice e coerente la scena, che non “corre in aiuto” di uno spettacolo lineare e complesso, a cui non va nulla aggiunto: poiché non si avverte il bisogno di alcun colpo di scena. Escamotage cui si ricorre quando bisogna tener desto lo spettatore, che qui viene avvinghiato da uno spettacolo che lo soddisfa di ogni attesa, anche semplicemente spettacolare. Quasi scontato il conferimento del premio dell’Associazione Nazionale dei Critici Teatrali a Graziana Maniscalco, che, con Nino Romeo, fa parte di quegli artisti di riferimento nazionale per un modo di fare teatro che è sperimentale e di grande pubblico. Un ossimoro. L’arte, quando è vera, consente anche questo.
Premio Inscena dell’ANCT (Associazione Nazionale Critici di Teatro) dell’ 11 giugno 2007
Motivazione - “Attrice di vivido temperamento filtrato da misura interpretativa e razionalità dell'espressione -sia mimica che vocale- lavora da tanti anni al perfezionamento di una femminile individualità di attrice, ove la passionalità mediterranea si congiunge idealmente ai più rigorosi modelli della grande drammaturgia nord europea. Animatrice del gruppo Iarba di Catania, analizza un labirinto linguistico che esula dallo stereotipo dialettale facendosi ricerca di un lessico inusitato e restituito a nuova dignità poetica, come nel caso di Dollìrio rappresentato di recente allo Stabile di Catania.”
Guido Valdini «Anteprima» del maggio 2007
Palermo - La brutalità fredda dei meccanismi sociali, il cinismo dei rapporti sentimentali, la passione violenta alle fondamenta dei processi esistenziali -il tutto cementato da un singolare e accuratissimo uso del dialetto della Sicilia orientale- sono fra le caratteristiche della drammaturgia di Nino Romeo, autore, attore e regista catanese di ultraventennale esperienza, fra i più interessanti e significativi in circolazione in Italia (…)La ricerca linguistica di Romeo si sposa con un'indagine a tutto campo sul contesto siciliano, in modo ben più innovativo e profondo di quanto non facciano autori e registi di recente moda. Il drammaturgo catanese (…) affonda nelle radici della corruzione della condizione umana, e spesso a partire dal mito, per riproporne umori, affetti e veleni in una dimensione moderna, mettendone in luce pieghe e piaghe, amplificandone gli echi e, ad un tempo, scarnificando le voci, in una sorta di iperrealismo fantasmatico. Come lo scavo attorno ad un albero, i cui rami mutano foglie, ma il cui tronco rimane misterioso testimone del respiro della natura. (…) La Mara di Graziana Maniscalco, attrice di nervosa tensione emotiva e di talentuose capacità espressive, si annuncia come una figura dall'anima torbidamente ambigua che non smetterà di emozionarci.
Giuseppe Condorelli «Il Dito» del 25 maggio 2007
Catania - Singolare femminile con boss in un interno di mafia. A marcare la presenza totemica di una donna, un impianto scenico rarefatto quasi una memoria metafisica, sedie e tavolo meticolosamente immersi nella contrastata luminosità della casa del boss Dollìrio (…) Una dimensione domestica e simbolica in cui, nel corso di un’intera esistenza agisce Mara, percorrendo una dialettica servo-padrone assai costante nella drammaturgia del regista catanese. E nello straordinario incedere recitativo e corporeo della protagonista Graziana Maniscalco è giocato tutto il contrasto: mantice di dolore e di pietà prima, di glaciale e assoluta volontà di potenza dopo. La sua implorante giaculatoria d’aiuto si scioglie all’inizio in servile e morboso attaccamento poi in sorda complicità; le lacrime poco a poco cominciano a distillare fermezza; negli anni la sudditanza si muta in dominio. Dal canto suo, Dollirio, convitato di pietra, circondato solo da un latrare di cani e dai silenzi che ne accompagnano la siderale solitudine ne subisce la devastante forza femminea. Da bambola timida e virginale (anche nella mise dei costumi di Umberto Naso che ricordano le fanciulle di Cemak) alla spavalda ostentazione del lusso. In questo perimetro di violenta onnipotenza agisce soprattutto la parola, il mistilinguismo caro a Romeo (da Cronica a Fatto in casa): da un lato il dialetto catanese tellurico e furioso, dall’altro un italiano dal registro medio alto, parabola di una identità e di un ruolo ormai dominanti. (…) Nei due atti della piece, grazie ad un dettato registico rigoroso, reso ancora più corposo dalla drammatica immanenza delle musiche di Franco Lazzaro, la sua ascesa è impetuosa, irresistibile: da spudugghiafacenni a “consigliori”, e via via sempre più addentro agli affari del boss. Più lei giganteggia più rimpicciolisce Dollirio, chiuso nel dolore per la morte della figlia, nell’ignavia per la pazzia della moglie; anzi, ormai malato e ridotto a “pezzo di carne” lascia che sia proprio Mara, sovrana ormai assoluta, a decidere le strategie matrimoniali, a dettare i principi della deontologia mafiosa familiare e a tracciarne le nuove rotte politico-finanziarie. Dal pizzo agli avvertimenti fino alla mafia imprenditrice lungo una “linea della palma” sempre meno siciliana, la vicenda abominevole di Mara non offre barlumi di pentimento. Lei stessa, duplicazione deformata del boss, alla morte di Dollirio, non si concederà nessuna redenzione, nessun riscatto che possa sottrarla dal suo rovinoso precipitare al fondo di uno sterminato nulla. Applausi meritatissimi a scena aperta.
Paolo Randazzo «Centonove» del 11 maggio 2007
Catania - (…) Un lavoro importante per la concezione (…) e la scrittura, importante per il raffinato lavoro linguistico e la messa in scena, importante per la tematica che indaga. Importante perché vi si percepiscono i segni di quell'impegno intellettuale che l'arte implica sempre se non vuol cadere nella sciatteria o nella superficialità. (…) È anche per questo allora che lo spettacolo di Romeo è importante: perché affronta tale argomento riflettendo, attraverso la storia del mafioso Dollìrio e della sua, prima serva e poi compagna, Mara (in scena Romeo, sempre in silenzio, e la Maniscalco che con una straordinaria prova d'attrice affronta ogni momento dell'evoluzione interiore del personaggio), sulle dinamiche del potere (…) Il tutto proposto nella prospettiva d'una vitalità femminile che assorbe i vizi della gestione maschile del potere per poi farli diventare prassi assoluta e tragica.
Sabina Corsaro «Kataweb» dell’ 8 maggio 2007
Catania - Definirlo il dramma di una donna appare riduttivo; sembra, invece, più idoneo considerarlo il flusso inesorabile di una coscienza che fa i conti con la sua memoria (...) Nino Romeo lega i pezzi sparsi dell’interiorità della protagonista attraverso l’elemento linguistico: è questo a dare un’identità e una misura ai cambiamenti della personalità di Mara nel tempo, ai fatti sociali che si svolgono attorno a lei, e il dialetto siciliano si alterna ad espressioni (brevi ma intense) di alta liricità.
Liliana Rosano «Girodivite» dell’ 8 maggio 2007
Non un testo sulla mafia, ma piuttosto un viaggio introspettivo nell’evoluzione dell’animo di una donna all’interno di una storia di mafia. Il dramma Dollìrio, affidato all’intensa e drammatica interpretazione della bravissima Graziana Maniscalco, si dipana in un arco temporale trentennale (…) Oltre ai richiami a fatti di cronaca e ai giochi di potere di cui è stata protagonista la mafia catanese, la vera forza drammatica del testo sta in questo progressivo gioco a spirale in cui si intrecciano il rapporto tra l’universo femminile e quello maschile, dove non c’è spazio per la dimensione dolorosa dell’animo della donna, scarnificata senza concedere mai spazio al pentimento né alla catarsi. L’elemento innovativo e se vogliamo sperimentale della pièce, sta nel tentativo di assecondare la forza scenica del personaggio femminile a un certo tipo di linguaggio crudo, reale, altalenante tra siciliano ed italiano, che consente al testo di perdere la sequenza cronologica degli eventi e di attestarsi in una sorta di iperrealismo forzato della memoria. Interessante è poi la realizzazione asettica e minimalista dello spazio scenografico e l’utilizzo delle luci: entrambi questi elementi delineano con forza il passaggio da un quadro all’altro e da un progressivo mutamento del personaggio di Mara all’altro con un effetto quasi cinematografico. Suggestive le musiche di Franco Lazzaro, orchestrate in maniera classica, rendono semantici le sfumature emotive della protagonista sviluppando momenti onirici. Il forte impianto narrativo del testo non si frammenta mai, anzi, si struttura con vigore proprio nel finale (…).
Maurizio Giordano «dramma.it» del 6 maggio 2007
Roma - (…) Sulla scenografia minimale e austera di Umberto Naso, con il gioco luci di Franco Buzzanca e le incisive musiche di Franco Lazzaro, si muove, nei due rapidi e immediati atti, una intensa e sanguigna Graziana Maniscalco nei panni di Mara, accompagnata sulla scena da un silenzioso e cupo Nino Romeo nelle vesti del boss di quartiere (…) E’ la volitiva Mara, quindi, la padrona della scena nella pièce di Nino Romeo e Dollìrio (impersonato da un muto, espressivo e consapevole Romeo, costante presenza in scena) a poco a poco sembra spegnersi, fino a cedere alla graduale decadenza fisica, alla paralisi. (…) Come in tutti precedenti lavori di Romeo, anche in questo ha la sua funzione, la sua centralità, il linguaggio (…) Lavoro avvincente, di analisi, come detto psico-sociologica, di tipi, situazioni, linguaggi di alcuni quartieri ad alto rischio e soprattutto che incentra la sua attenzione su un potere occulto, colluso, padrone di un sistema logoro, incancrenito attorno al quale ruota tutta l’organizzazione sociale, ieri come oggi. Applausi per i due interpreti, il muto Nino Romeo e la sempre più apprezzata e camaleontica Graziana Maniscalco (…)
Alessandra Corica «Step1» del 5 Maggio 2007
Catania - (…) Graziana Maniscalco dà una grande prova di sé: sulla scena è al tempo stesso giovane indifesa, amante sibillina e padrona monumentale. Offre un’interpretazione sanguigna, appassionata e appassionante. Accanto a lei, Nino Romeo, autore e regista dello spettacolo, veste i panni di Dollirio: senza mai parlare, racconta la sua storia di declino con lo sguardo e con i gesti, imperiosi all’inizio, nulli alla fine. Lo spettacolo si snoda veloce davanti agli occhi dello spettatore, nella scena suddivisa in tre parti. Al centro del palco lo spazio è quello della vita e della parola, dell’azione e della sopraffazione; ai lati, racchiuse da due velari semitrasparenti, due nicchie. In esse, di volta in volta, Mara cambia veste, segnando così la sua maturazione, la sua ascesa con il passare degli anni: è come se fossero le due parti di una clessidra, all’interno delle quali non si vede scorrere la sabbia, ma si osserva la metamorfosi, esteriore e soprattutto interiore, della protagonista, e in virtù di questa si percepisce lo scorrere del tempo. Le luci accentuano la passione, densa e oscura, che pervade la vicenda: una passione erotica e violenta, che visivamente è veicolata grazie all’alternarsi del rosso fuoco, del bianco freddo e della penombra scura che vengono creati sul palco giostrando i riflettori. (…)
Giuseppe Condorelli «Giornale di Sicilia» del 3 maggio 2007
Catania - Nino Romeo, regista catanese tra i più rappresentativi della drammaturgia italiana contemporanea, è tornato con la sua novità assoluta (…) che segna il ritorno sulle scene di Romeo nella sua città dopo la chiusura forzata del Camera Teatro Studio da lui stesso fondata.
Sergio Sciacca «La Sicilia» del 3 maggio 2007
Catania - (…) Il Dollìrio di Nino Romeo (…) si stacca nettamente dai canoni acquisiti: non ha una morale riconoscibile (…), non ha un linguaggio plebeo consueto, ma un tessuto linguistico di esemplare ricchezza sia nella forma colta che in quella popolare (attentamente, anzi filologicamente, studiata nelle sue stratificazione) (…) Sulle scene essenziali eppure continuamente mosse (instabilità delle relazioni) di Umberto Naso e con il commento musicale altrettanto efficace di Franco Lazzaro, Graziana Maniscalco domina la scena impersonando i vari volti della donna che sta dentro la mafia. Disperata, insinuante, elegante, volitiva, beffarda, cinica, vendicativa, sguaiata: una gamma inesauribile di figure trattate con gesto sicuro su uno sfondo umano sempre più decrepito. E non è solo ritratto psicologico: è anche studio formale. La lingua usata dalla donna viene sapientemente dosata dalle colorazioni triviali (…) fino alle impennate di eloquio più ricercato (…) Per questo il pubblico dell’anteprima ha fatto segnare il tutto esaurito ed assoluta unanimità di apprezzamento.
Francesca Motta «La Sicilia» del 29 aprile 2007
Catania - Non poteva mancare nella rassegna dedicata alla nuova drammaturgia “Nuovoteatro” del Teatro Stabile di Catania un autore, regista e attore del calibro di Nino Romeo.